“Mi sono avvicinata all’incubatrice di Nina e dentro di me è esploso un urlo. C’era un artiglio che mi graffiava; mi strappava via la carne. C’erano stupore, paura, incredulità, strazio, impotenza e senso di colpa, e non capisco come abbia potuto semplicemente mettermi a piangere, perchè il dolore faceva tante e tali acrobazie che il solo pianto non bastava a esprimerle tutte”.
A. Sartorio, “L’Arca di Nina”
La TIN è un ambiente in cui si viene catapultati all’improvviso, senza nessuna preparazione. Vivere l’esperienza di un figlio nato precocemente e vederlo sottoposto da subito, e spesso per molti mesi a cure intensive, è un potentissimo stressor: il vissuto dei genitori in TIN è povero di contatti fisici ed emotivi con il proprio bambino, e ricco di interrogativi, che spesso rimangono per parecchio tempo senza risposta.
Di fronte a un bambino portatore di sindromi plurimalformative, a tutto questo carico si aggiunge poi il profondo senso di inadeguatezza, psicologica e sociale, provato dai genitori. Questi ricercano delle figure di riferimento nei medici, ai quali spetta il ruolo di rispondere alle richieste di informazioni, ma anche di fornire sostegno emotivo e relazionale.
I genitori, che vivono in uno stato di shock, non prestano attenzione a cosa viene detto loro dai medici, ma a come viene detto: un modo di esprimersi inappropriato, una comunicazione non verbale discordante da quella verbale vengono ricordati per mesi o anni da entrambi i genitori e contribuiscono negativamente all’attaccamento col loro figlio.
L’Importanza della Figura del Partner
Negli ultimi anni, l’esperienza materna di fronte alla nascita patologica è stata ampiamente discussa, mentre pochi studi si sono soffermati sulla condizione del padre: ci si è sempre concentrati sulla madre, marginalizzando la figura paterna.
Attualmente, invece, è stata riconosciuta al padre l’importante ruolo svolto nei confronti dell’équipe curante in termini di “interlocutore privilegiato” e di tramite tra équipe e madre del neonato, quando la madre è ancora ricoverata.
Di fronte alla patologia del figlio, il padre reagisce in una maniera precisa: usa il meccanismo della razionalizzazione. Ha bisogno di una comunicazione comprensibile, senza termini tecnici, che non escluda elementi di speranza. Il padre tende a focalizzare l’attenzione sugli aspetti organizzativi e operativi, apparendo talvolta distante e poco coinvolto emotivamente, diversamente dalla moglie. In realtà, spesso per lui questa rappresenta una forma di difesa che gli permette di mantenere il più possibile l’equilibrio psicologico ed emotivo, indispensabile in un momento di grande disorientamento generale.
C’è un rischio tangibile, per i padri all’uscita dall’ospedale, di andare incontro a un vero e proprio Disturbo Postraumatico da Stress, poiché essi tendono a “posticipare” l’espressione del loro disagio.
Elementi di Prevenzione e Gestione
Alcune caratteristiche delle mamme depresse che possono far nascere il sospetto negli operatori sanitari sono le seguenti:
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Centratura su di Sè;
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Difficoltà a riflettere in termini astratti sulla propria maternità;
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Assenza di descrizione di momenti di interazione e contatto fisico col neonato;
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Percezione di scarso aiuto da persone vicine; non si tratta necessariamente di mancanza d’aiuto, ma della percezione che ha la madre di non ricevere o poter ricevere aiuto (helplessness).
L’équipe sanitaria può agire su alcune variabili che influenzano il disagio psichico dei genitori, partendo dalla comunicazione e dalla metacomunicazione, cioè dagli aspetti non verbali di essa. I genitori percepiscono molto positivamente qualsiasi forma di counseling psicologico, mostrandosi molto più motivati al colloquio rispetto ai genitori che non passano attravero l’esperienza della TIN. Non necessariamente richiedono un intervento psicologico, ma orientamento, informazione e qualcuno che mostri loro le risorse di cui dispongono per diventare capaci di trovare soluzioni sostenibili e di rapportarsi alle proprie emozioni.
Laboratorio Espressivo: i genitori si aprono e condividono il loro vissuto.
Se i genitori sono assistiti, riescono ad acquisire un ruolo attivo e diventano corresponsabile nella gestione del neonato. Questo richiede un’educazione del personale sanitario alla comunicazione, una formazione specifica in materia e la presenza costante di un coordinatore esperto in tecniche della comunicazione.
Il coinvolgimento dei genitori, soprattutto della mamma, nella gestione del bambino, è fondamentale. E’ importante favorire il contatto fisico, chiedendo ai genitori di “toccare” il bambino attraverso l’incubatrice. Superata la fase critica, inizia un altro percorso per i genitori, quello finalizzato a diventare autonomi nella gestione del bambino, e in questo gli infermieri sono molto coinvolti.
Tutto il personale dovrebbe abituarsi a studiare lo svolgimento della comunicazione, per comprendere le reazioni dei genitori e capire quanto e che cosa venga efficacemente compreso dai genitori tra tutto ciò che viene loro comunicato.
Una madre con DPP deve essere accompagnata giorno per giorno lungo il suo percorso, poiché il processo di sviluppo materno si compie superando quattro fasi:
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La “messa a fuoco” del neonato ricoverato in TIN;
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il passaggio da “il loro bambino” a “il mio bambino”;
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il passaggio da un ruolo di “mamma estranea e passiva” a un ruolo “partecipe e attivo”;
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la care del proprio bambino.
L’obiettivo verso cui l’infermiere guida la madre è la felicità di aver messo al mondo il proprio figlio, felicità rimasta oscura per la presenza della DPP.